Carne viva

Ogni questione specifica, caro Ennio, batte solo su questo punto: la quantità di carne viva che ci sarà dentro un quadro o un libro. L’arte non si fa per ‘grazia’ di Dio o per rivelazione ecc. Dio non c’entra, né la grazia, ma solo la quantità di noi stessi, come sangue intelligenza e vita morale che ci si butta dentro […]

L’arte non è più patrimonio della borghesia o degli intellettuali; è patrimonio di tutti. Senza scendere di un gradino, senza cedere uno solo dei suoi privilegi, senza farsi comprensibile per partito preso, senza tradizione del c… Ma con tutta la sua pienezza e forza sanguigna, così forte da avere ragione. Utile (altra parola difficile da capire) agli uomini, come qualche volta è successo nella storia. Utile per il suo contenuto morale, per il suo accento di chiarezza, per il suo senso di giustizia e di attiva partecipazione alla vita degli uomini.

(Renato Guttuso)

Paura della pittura

Il terrore fondamentale e primordiale, la paura del mondo, della vita, della libertà, dell’uomo: la Paura della pittura.

La parola, amore delle idee e delle cose, non può più legare quello che è irrimediabilmente scisso: ma soltanto ricercare, fatta simbolica, difesa e certezza. La pittura non è più espressione creatrice, ma magia, strumento di impossibile salute. La paura del deserto dell’anima desolata è il senso della pittura contemporanea: i suoi oggetti, non uomini e cose viventi, ma idoli.

E il colore si staccherà dalle forme, e ognuno degli indissolubili elementi dell’espressione pittorica si isolerà e perderà i legami con gli altri, e diventerà esso stesso oggetto di incomprensibile spavento: e la ragione farà strada separata dal senso; e i passaggi dall’uno all’altro momento diventeranno meccanici, o simbolici. Per gli uomini, ombre spaventate, il mondo da cui sono assenti perde ogni concretezza.

L’immagine dovrebbe liberarci dal Dio, o almeno dalla solitudine; popolando il vuoto del mondo, dando forma alle cose ambigue, liberandoci dal terrore dell’informe e dell’incerto.

La paura dell’uomo, cioè la paura della pittura, è il senso della pittura contemporanea.

Non così sono le imitazioni, là dove, pur esistendo la crisi, essa non era profondamente, sinceramente sentita, ma accolta come una moda o un imperativo formale […] là dove ci si nascondeva per non vedere, e si ripetevano i vecchi modi della pittura, per timore dellla nuova, e del nulla. Qui era paura della pittura in un senso più triviale: mancanza cioè di coraggio, fedeltà a una eterna accademia. […]

Questo mondo vuoto, e che si aveva orrore di lasciare vuoto, non si popolava dunque di mostri eroici, ma di figure e di forme tradizionali, nascondendo la paura con il classicismo o con l’ironia, e accogliendo, di quella tragedia, soltanto gli schemi, come arcadici travestimenti.

Picasso e gli altri hanno creato le immagini della desolazione contemporanea, le immagini della Paura; e, senza timore del loro aspetto, ci hanno dato le forme mutevoli dei transeunti Dei del nostro tempo. Un’arte barbara e religiosa ne è nata, senza possibilità di di sviluppo se non monotono: altre generazioni non sono venute. Il domani non si prepara con i pennelli, ma nel cuore degli uomini […]

Dal sommo della paura nasce una speranza, un lume di consenso dell’uomo e delle cose. Muoiono gli dei, si crea la persona umana. Possono la morte e  la notte rivolgere il destino? La guerra dell’uomo con se stesso è finita, se davvero l’arte ci indica il futuro, e se possiamo leggerlo sul vito e nei gesti degli uomini. E forse è nato chi prepara, nei quadri, l’annuncio della fine della separazione, l’amoroso sorgere di una pittura senza terrore.

(Carlo Levi)