Per avere cinquanta volte vent’anni prima d’invecchiare

“Se, in passato, le strutture e le posizioni erano dotate di un elevato grado di permanenza, oggi continui mutamenti impongono uno sforzo di adattamento incessante. Lo specialista dà il meglio di sé in un ambiente stabile, all’interno del quale può concentrarsi senza preoccuparsi di altro: la sua forza, in termini cognitivi, è l’efficienza, non la flessibilità. Se i confini del suo incarico sono definiti con precisione, lo specialista può mettersi a lavoro a testa bassa e perseguire l’obiettivo con la determinazione di un bovino frisone. Per questo motivo la piramide, fatta di compartimenti stagni e di gerarchie immutabili, rappresentava il suo habitat ideale. L’ignorante istruito poteva installarcisi e, piano piano, iniziare la scalata sulla base di regole chiare. Del tutto diversa è la sua posizione in un contesto contraddistinto da livelli elevati di instabilità. Qui lo specialista non è a proprio agio. Il suo grado di tolleranza dell’incertezza è basso, la capacità di fronteggiare l’imprevisto quasi nulla. Il bagaglio delle conoscenze puntigliosamente acquisite, che genera una rendita preziosa in un quadro stabile, rischia di continuo di essere spazzato via da qualche novità sconvolgente. E, purtroppo per lui, il sistema delle reti produce, per sua natura, una quantità molto elevata di novità sconvolgenti”.

Contro gli specialisti

“Non si tratta più di innovazione incrementale, bensì di innovazione dirompente.  Al contrario della prima, la seconda è tutt’altro che rassicurante. Non nasce dall’ordine, ma dal caos; non arriva dal centro, ma dai margini; non privilegia gli insider ma gli outsider. Nella maggior parte dei casi, le rotture sono originate da soggetti estranei alla disciplina o da giovani appena entrati. Non avendo avuto l’occasione o il tempo di indossare i paraocchi della dottrina dominante, gli outsider riescono a percepirne i limiti. Oltretutto, non hanno alcun interesse alla conservazione del sistema in essere. Al contrario degli specialisti più avanti negli anni, che hanno costruito tutto il loro curriculum sull’approfondimento della dottrina vigente, gli innovatori di rottura non chiedono il permesso. Se dovessero far approvare dall’alto i loro progetti, non ce la farebbero mai. In molti casi, non riuscirebbero neppure a scriverlo, un progetto di ricerca che si attenga ai codici dominanti o un business plan con le carte in regola. Sono quasi sempre sonnambuli: non sanno esattamente cosa stanno facendo, né dove andranno a parare. Suonano senza spartito, inventano le regole man mano che procedono verso l’ignoto. Il loro contributo non può essere né misurato, né valutato sulla base delle norme vigenti o del giudizio dei pari. Per questo gli innovatori di rottura attraversano le barriere disciplinari, burocratiche, aziendali: la loro unica possibilità di sopravvivenza sta nella sovversione del sistema, nel ridefinire l’intero campo da gioco sulla base della loro visione. Più di ogni altra cosa, l’innovazione dirompente è indisciplinata.”

“L’eccesso di specializzazione è, prima di ogni altra cosa, un insulto alla natura umana. Un tentativo di ridurla al sistema operativo di una macchina, anziché esplorarne le infinite possibilità. Abbiamo tutti il diritto di non assomigliarci, di seguire il libero corso delle nostre idee e delle nostre curiosità, di vivere in poesia, oltre che in prosa. Per avere cinquanta volte vent’anni prima d’invecchiare.”