Paura della pittura

Il terrore fondamentale e primordiale, la paura del mondo, della vita, della libertà, dell’uomo: la Paura della pittura.

La parola, amore delle idee e delle cose, non può più legare quello che è irrimediabilmente scisso: ma soltanto ricercare, fatta simbolica, difesa e certezza. La pittura non è più espressione creatrice, ma magia, strumento di impossibile salute. La paura del deserto dell’anima desolata è il senso della pittura contemporanea: i suoi oggetti, non uomini e cose viventi, ma idoli.

E il colore si staccherà dalle forme, e ognuno degli indissolubili elementi dell’espressione pittorica si isolerà e perderà i legami con gli altri, e diventerà esso stesso oggetto di incomprensibile spavento: e la ragione farà strada separata dal senso; e i passaggi dall’uno all’altro momento diventeranno meccanici, o simbolici. Per gli uomini, ombre spaventate, il mondo da cui sono assenti perde ogni concretezza.

L’immagine dovrebbe liberarci dal Dio, o almeno dalla solitudine; popolando il vuoto del mondo, dando forma alle cose ambigue, liberandoci dal terrore dell’informe e dell’incerto.

La paura dell’uomo, cioè la paura della pittura, è il senso della pittura contemporanea.

Non così sono le imitazioni, là dove, pur esistendo la crisi, essa non era profondamente, sinceramente sentita, ma accolta come una moda o un imperativo formale […] là dove ci si nascondeva per non vedere, e si ripetevano i vecchi modi della pittura, per timore dellla nuova, e del nulla. Qui era paura della pittura in un senso più triviale: mancanza cioè di coraggio, fedeltà a una eterna accademia. […]

Questo mondo vuoto, e che si aveva orrore di lasciare vuoto, non si popolava dunque di mostri eroici, ma di figure e di forme tradizionali, nascondendo la paura con il classicismo o con l’ironia, e accogliendo, di quella tragedia, soltanto gli schemi, come arcadici travestimenti.

Picasso e gli altri hanno creato le immagini della desolazione contemporanea, le immagini della Paura; e, senza timore del loro aspetto, ci hanno dato le forme mutevoli dei transeunti Dei del nostro tempo. Un’arte barbara e religiosa ne è nata, senza possibilità di di sviluppo se non monotono: altre generazioni non sono venute. Il domani non si prepara con i pennelli, ma nel cuore degli uomini […]

Dal sommo della paura nasce una speranza, un lume di consenso dell’uomo e delle cose. Muoiono gli dei, si crea la persona umana. Possono la morte e  la notte rivolgere il destino? La guerra dell’uomo con se stesso è finita, se davvero l’arte ci indica il futuro, e se possiamo leggerlo sul vito e nei gesti degli uomini. E forse è nato chi prepara, nei quadri, l’annuncio della fine della separazione, l’amoroso sorgere di una pittura senza terrore.

(Carlo Levi)