Siamo un nome

Prometeo: La morte è entrata in questo mondo con gli dèi. Voi mortali temete la morte perché, in quanto dèi, li sapevate immortali. Ma ciascuno ha la morte che si merita. Finiranno anche loro. 

Eracle: Che dici?

Prometeo: Tutto non si può dire. Ma ricordati sempre che i mostri non muoiono. Quello che muore è la paura che t’incutono. Così è degli dèi. Quando i mortali non ne avranno più paura, gli dèi spariranno.

Eracle: Torneranno i Titani?

Prometeo: Non ritornano i sassi e le selve. Ci sono. Quel che è stato sarà. 

Eracle: Ma foste pure incatenati. Anche tu. 

Prometeo: Siamo un nome, non altro. Capiscimi, Eracle. E il mondo ha stagioni come i campi e la terra. Ritorna l’inverno, ritorna l’estate. Chi può dire che la selva perisca? O che duri la stessa? Voi sarete i Titani, fra poco. 

Eracle: Noi mortali?

Prometeo: Voi mortali – o immortali, non conta.

(Cesare Pavese – La rupe)

Sisifo

“Del dramma satiresco Sisifo resta un ampio frammento tratto da un monologo concernente la storia del progresso dell’umanità e l’origine umana della religione, geniale invenzione di un uomo saggio e intelligente che, per garantire il rispetto della giustizia, pensò di introdurre il timore di divinità capaci di percepire gli atti, le parole e i pensieri più reconditi dell’uomo.”

(G. Mastromarco – P. Totaro, Storia del teatro greco)

Uno o due Dèi

 

Il Dramma, si dice – ed è facile crederlo – sbocciò da alcuni spontanei giochi e risate durante i mesi brillanti dell’anno nei paesi del Sud.

È probabile, perché vi è un significato nell’estasi che si genera con un tempo simile, all’aria aperta, si prova un desiderio di fare qualcosa, cantare e danzare, dinanzi agli Dèi ai quali allora si attribuivano tutti questi benefizi: il caldo, l’allegria dei cuori, l’affetto degli amici, le vittorie sui nemici, l’acqua!… l’acqua!… il sole il cielo e le notti fresche… il vino!… il grano!… e l’abbondanza.

A quei liberi uomini dei nostri padri non era mai capitato di starsene seduti egoisticamente a scrivere le proprie memorie per spiegare al pubblico che il grano, il vino, l’acqua e tutto il resto non erano altro che il risultato della loro prudenza e della loro energia; secondo loro c’erano sempre uno o due Dèi che avevano fatto tutto. Lode, allora, e allegria di fronte al Dio.

(Gordon Craig)

 

Dal punto di vista della palla

[…] il mondo d’oggi può essere descritto agli uomini d’oggi solo a patto che lo si descriva come un mondo che può essere cambiato.

Per gli uomini d’oggi, i problemi valgono in funzione delle risposte che ricevono. Gli uomini d’oggi s’interessano delle situazioni e degli avvenimenti di fronte ai quali possano agire in qualche modo.

[…] In un’epoca nella quale la scienza è in grado di trasformare la natura al punto che il mondo appare già quasi abitabile, non è più ammissibile che si continui a descrivere all’uomo il suo simile come vittima, come oggetto passivo di un ambiente sconosciuto quanto immutabile. Se ci si mette dal punto di vista della palla, è evidente che le leggi del moto diventano inconcepibili.

[…] il mondo d’oggi può essere espresso anche per mezzo del teatro, purché sia visto come un mondo trasformabile.

 

(Bertold Brecht)

L’efficienza del diseconomico #2

La cultura è una cosa, l’organizzazione della cultura è un’altra: quest’esperienza ti insegnerà di quante piccole difficoltà è fiorita la strada dell’organizzazione. Devi guardare a tutto, sorvegliare tutto, prevenire tutto. Devi fare al mattino ciò che puoi fare al pomeriggio, devi fare il lunedì ciò che puoi fare il martedì, devi riflettere, anticipare, e se si tratta di una cosa fissata per le 10 devi esserci dieci minuti prima anziché trenta secondi dopo.

Non credere alla pignoleria di queste raccomandazioni, ma soltanto all’esperienza e non dimenticare che se per trenta giorni le cose vanno bene e sembra che non vi siano problemi, il problema nascerà puntualmente al trentunesimo giorno, quando non te lo aspetti.

(Paolo Grassi in una lettera a Carlo Fontana)

L’efficienza del diseconomico

Il manager culturale lavora al patto fra l’arte e la sua organizzazione, al “contratto estetico” fra il realizzatore dello spettacolo e il suo pubblico; crea le condizioni per sostenere l’espressione artistica, conosce le prassi dell’artista, deve esserne un po’ complice e insieme rimanere più oggettivo di lui; detiene la strategia, approccia “culturalmente” la pianificazione, deve sapere guidare e prevedere.; il suo cerca di essere un undermanagement, un management “invisibile”, leggero, rapido, ma anche esatto e molteplice; deve rendere attive le informazioni e soprattutto le conoscenze; deve creare “l’efficienza del diseconomico”.

(Franco Ferrari – Qualityshow)

 

Decadenza

Un punto piccoletto,
superbioso e iracondo,
“Dopo di me – gridava-
verrà la fine del mondo!”

Le parole protestarono:
“Ma che grilli ha per capo?
Si crede un Punto-e-basta,
e non è che un Punto-e-a-capo”.

Tutto solo a mezza pagina
lo piantarono in asso,
e il mondo continuò
una riga più in basso.

(G. Rodari)

Sempre più numerosi, rumorosi e noiosi

“Si dirà che l’angoscia non è necessaria all’arte; all’arte in generale no, ma all’arte d’avanguardia si. C’è poco da fare, il neocapitalismo avrà aumentato e generalizzato l’alienazione, ma l’ha resa più scontata e più fiacca, estraendone l’angoscia e proiettandola nelle viscere della terra o nella stratosfera, là dove si svolgono gli esperimenti atomici, oppure in quei remoti paesi coloniali e semicoloniali in cui si decidono le sorti del capitalismo: comunque in luoghi dove non si può arrivare durante il weekend e che restano sottratti all’esperienza dell’intellettuale, che non ha nemmeno più bisogno di lavorare in una società di assicurazioni.

Non si possono più ricostruire artificialmente l’ambiente familiare e sociale, le condizioni di vita, gli orizzonti culturali, religiosi, politici entro i quali e contro i quali si sono formati Proust, Kafka, Joyce, Musil, Brecht. La borghesia non attraversa più una crisi morale e spirituale, semplicemente perché ha perso l’anima: l’ha venduta ai monopoli, ottenendone in cambio, sia pure a rate, la sicurezza che le mancava.

Questo non significa la morte dell’avanguardia. Significa che i pochi veri visionari saranno sempre più rari e i molti gregari sempre più numerosi, rumorosi e noiosi. Essi si divideranno freneticamente la piccola alienazione, quella da elettrodomestici, da sbronze e da sesso. Ce n’è per tutti.

[…]

Con buona pace degli apostoli dei nuovi linguaggi, questi di per sé non sono che cortine fumogene spruzzate dalla cattiva coscienza dello scrittore che non sa che pesci pigliare. Quando c’è un nuovo contenuto, giusto o sbagliato che sia, ma comunque vivo e sentito, che importi l’enunciazione, l’Aussage di una particolare condizione umana, esso non si deposita in un nuovo linguaggio bensì in una nuova forma.”

(Cesare Cases)